Anita Sieff


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La Vita come Opera

Molti grandi uomini e donne hanno fatto della loro vita un'opera e non si sono dichiarati, né sono stati considerati artisti. 
Essere in relazione con il mondo non significa ancora fare un' arte relazionale, come essere coscienti delle implicazione tra vita e opera non significa ancora che la propria vita sia opera. 
La vita come opera sicuramente é una condizione di non separazione ma di reciproco influenzamento piuttosto tra osservato e osservatore, dove l'osservatore pone in essere volta per volta l' interazione tra ció che, impropriamente potremmo chiamare oggettivo, e il proprio soggettivo. Questo sicuramente implica avere una propria integrità e allo stesso tempo usare la leggerezza nell’ approccio alla vita come sistema complesso, tanto da poterne cogliere, volta per volta, i limiti e le periferie, per metterli in relazione con il precipitato del futuro frutto dell’attività della propria immaginazione. 
Potrebbe sembrare che essere abilitato alla produzione artistica per formazione, dovrebbe essere sufficiente per dare autorità di significato al proprio fare, e così é stato per molto tempo. Ma il contemporaneo impone una riflessione e totale rivisitazione di questa assunzione culturale.
Tre sono le assunzioni in merito alla legittimità di essere artista da rifondare:
-l' autorità di significato dell'artista in quanto abilitato da una techne alla sapienza di un fare
-l' autorità di significato dell' opera come evento separato dalla vita e dalle sue implicazioni 
-l' autorità di significato della contrapposizione soggetto-oggetto ovvero
osservatore-osservato

Ancor'oggi possiamo constatare che nella valutazione dell'opera d' arte c'é la presenza di uno schema di divisione, una netta separazione tra osservatore e osservato dove l'osservatore é lo sguardo - e dico sguardo quindi con tutte le implicazione dell' approccio di tipo retinico -, del pubblico e l' opera é  quell'evento esposto coscientemente dall'artista  o/e curatore a questo sguardo. 
Personalmente trovo che questa pretesa di autorevolezza di significato che sta alla base del criterio di valutazione  dell’ opera, sia una pregiudiziale che non concede alcuno spostamento dal principio modernista di autorità di giudizio. Questi parametri si affermano in base alle scelte di volta in volta dello storico o sono dettati dalla più o meno alta influenza dei mass-media sul pubblico che é sí spettatore,  ma é altrettanto invitato a partecipare alla definizione di successo e quindi a condividere questa autorità di significato. Così lo sguardo del pubblico da "innocente" osservatore,  seppur vittima dei mass media, diventa connivente e quindi responsabile nel decretare il grado di adeguatezza dell' opera. 
Se l' arte relazionale pone come centralità il superamento tra osservato e osservatore poiché considera la relazione stessa come evento artistico, allora non può mai finire, non può essere delimitata, messa in cornice. Rimane come processualita’ che lascia tracce.  
Per quanto riguarda il mio percorso artistico é a posteriori che ho riconosciuto l' opera che avevo creato nel processo dipanatosi nel tempo. Gli incontri basati sul dialogo prima e sul fare un film poi - riguardo all’ esperienza di Public -aprivano ad una indagine sulla natura della complessità relazionale della vita che aveva il proposito di integrare quei saperi, coscienti della propria limitatezza,  con il punto di vista dell' arte che vede la conoscenza non necessariamente nel semplice conosciuto ma nel processo del conoscere. In una prospettiva del genere non ci sono né  programmi né obiettivi definiti, ma il coraggio di affidarsi all' ignoto senza la pretesa di controllare per giungere a risultato desiderato. Il fatto che questo mio approccio non sia stato registrato nella storia dell' arte come evento artistico, depone a favore del fatto che esistono sempre le pregiudiziali della gerarchia delle autorità di significato. 
Quando nel 1998 ho immaginato una streaming TV via internet e realizzato un sito: www.ethicstv.com
ero perfettamente cosciente delle implicazioni della rivoluzione digitale.  Avevo creato un sistema / luogo di appartenenza dove convergere chiamata "production" per articolare i percorsi di significato dati dai più diversi contributi che i partecipanti immettevano sul web ricucendo così la dicotomia tra osservatori/osservati poiché ognuno era sia l' uno che
l’altro. Se come osservatore vedeva il contributo degli altri, come osservato era responsabile del proprio apporto. La dimensione etica - ethos nel suo significato di 'nido' luogo confortevole che ospita- garantiva l' agio di essere insieme in un fare comune. Public Access era il terminaleTV al quale accedeva il pubblico e Campo era il luogo di interazione per chi tra il pubblico si riconosceva e voleva diventare un nuovo membro di questo organismo. Showcase era la vetrina di eventi e servizi in vendita, e proponeva competenze di partecipanti dislocati geograficamente ben oltre Venezia e l'Italia. Una serie televisiva a cui avevamo dato inizio era la Soap Opera Intellettuale, un tentativo di rappresentare il disagio sociale attraverso una raccolta di materiale video non lineare. 
Ma i tempi storici non erano maturi e internet era blindato da grandi interessi economici che stavano scegliendo come impostare il sistema perché non sfuggisse al loro pervasivo controllo commerciale. Nel 2001/02  nasce facebook come fenomeno di social network ma altro non si rivela che un sofisticato sistema di controllo degli umori di un' audience a cui non é concesso che il "like" rispetto a ciò che passa sul web e a diventare quindi uno strumento gratuito di valutazione di mercato per le aziende produttrici di beni di consumo.  
Ho capito nel tempo come il sistema di controllo del mercato sappia sottrarsi o meglio opporsi a qualsiasi tentativo di un artista di concepire “una vita come opera”. Per vocazione il mercato  non consente la partecipazione all' unitá di sistema proprio perché quell’ unitá, che non e’ più com-unità, esiste solo ancora come privilegio che difende il sistema come proprio appannaggio. Poiche’ non sussiste problema di competizione tra chi e’ nel sistema e chi ne e’ fuori, l’implicazione e’ ammettere che esista un problema di libertà e di sogno. Questa e’ infatti la natura vera dell' opera
d' arte la sua dirompente necessita’ e supposta pericolosità.
Direi a questo punto che l'opera d'arte può esistere come sistema di autorità di significato culturale solo se  come evento é separato dalla vita e dalle sue implicazioni e quindi continuare la tradizione di dicotomia tra soggetto-oggetto ovvero
osservatore-osservato. Duchamp del resto ha speso parte della sua vita completamente ignorato dal sistema dell' arte e così é ancor oggi.
La radicalitá espressa nell' opera é accettata se é ben delimitata e incasellata e soprattutto se é un'eccezione da poter esibire per dar sfogo ad una minoranza che crede ancora che di libertà e sogno si possa parlare. 
Duchamp ha speso trent' anni sottraendosi ai circuiti dell' arte, vivendo nell' isolamento e in ristrettezze. Oggi visto l' investimento nella professione artistica da parte di moltissimi giovani e non, che riconoscono nel successo degli artisti riconosciuti, una possibile carriera professionale, i circuiti del dibattito artistico si allineano con gli interessi e competitività proprie della dimensione del commercio. C'é scarsa autenticità e gli scambi non sono più basati su una eccedenza del sentire, sulla ricerca espressiva ma sull'individuazione strategica del marketing d' effetto.

La vita come opera é sempre più difficile da sostenere pubblicamente. Unica salvezza é non dichiarare le proprie intenzioni e sperare di diventare un esempio per chi ancora si pone delle domande di questo genere. L'importante é vivere nei cuori delle persone per non far spegnere la fiamma… come solo una vestale sa fare. 











Our life is a dream. By remembering it we contribute to it's creation.

In a symbolic way, the brain is the ground where the divine seed, once activated, will gradually change the whole human being. It is an involutionary process, not an evolutionary one; it is a descent into the Self. Psyche accepts the challenge to compete against her fears, to project them in order to see them, because she has discovered Eros, the principle of desire which has rejoined her with her will. Gradually what she sees by the pro- cess of unveiling disappears as it becomes integrated. But Psyche doesn’t know this yet. The nervous system is unable to accept the change which can only be received in numbness. This is the myth of Narcissus. And this is the path of Psyche too, but Psyche doesn’t subtract herself from the lack she experiences because she is seduced by it. Her unawareness becomes the strategy to generate her missing part which eventually leads her to the metamorphosis of regeneration. The cost is only the loss of control; because what counts as relevant is inseparable from the perceiver. 













La Fine dell'estetica

L’estetica attiva l’ affezione. L’ Affezione a qualcuno o a qualche cosa è data dalla percezione piacevole e ha il potere di farsi ricordare, di fidelizzare come si usa dire nel gergo del marketing. Aistomai in greco significa percepire e proprio di sensibilità percettiva ha bisogno la pubblicità che,  basandosi sulle assunzioni culturali più radicate come visibilità sociale e successo, mira proprio a creare l’affezione ad un marchio. E’ per questo che ora l’ advertising ha preso il posto dell’ estetica. Lo spazio e’ uno e se è occupato da fiumi in piena di sollecitazioni affettive non lascia spazio per fare ordine.
 
Il piacere ci fa riconnettere a esperienze compiacenti ma è altrettanto vero che potrebbe farci scoprire il piacere dell’inaspettato, l’ incontro con lo stupore.  Ma per questo ci vuole il tempo dell’attenzione e tempo non c’è. La forma non dipende dal contenuto ma dall’intenzione.  Per avere un’ intenzione bisogna riflettere e assumersi la responsabilità della scelta.  
 
Poiche’ Il contenuto viene determinato dalla forma che si usa per esprimerlo, se non si sceglie accuratamente questa forma, il contenuto sarà sempre lo stesso, spacciato per diverso. E’ il progetto del mercato che propone una infinita varietà di prodotti usando la stessa forma.  
L’affezione al ricordo simbolico, dunque l’acquisto, e’ attivato simbolicamente per sperimentare nuovamente quel piacere . Deprivati del tempo della riflessione interiore perché rivolta alla ricerca simbolica di ciò che ci riconnette al piacere, per il marketing, noi soggetti che spendono, diventiamo una opzione irrilevante. 
 
La questione del “mi piace” così omogeneizzata dalla pervasività dei social media che hanno imposto gli I like come Forma di consenso, ha deprivato definitivamente il piacere della libertà di essere diversi dagli altri.  In questo modo, dal punto di vista del linguaggio, e quindi della partecipazione sociale, si chiude formalmente la dimensione operativa delle scelte individuali.  
 
In tempi recenti la fisica  quantica ha contribuito al superamento della dicotomia tra soggetto e oggetto. La meccanica quantistica ci insegna che nel tutto esistente non c’è separazione tra chi osserva e ciò che viene osservato, nel senso che è inevitabile l’Interazione tra l’osservatore e l’osservato. Ciò che è osservato viene profondamente influenzato da chi osserva e viceversa. Il soggetto primario rimane la coscienza che produce una memoria che registra un percorso. Fino a poco tempo fa tutta la filosofia da Aristotele a Deleuze, Freud incluso, sapeva che esiste una mente originaria immutabile , una coscienza diciamo, a cui poter ritornare per ristabilire la propria identità.  Il problema è che questo soggetto politico cosciente è ora fuori gioco. Le neuro scienze parlano di incidenza abnorme di stress post traumatici che provocano la scissione tra soggetto pensante e  soggetto emotivo. Non sembra più possibile riconnettersi alla centralità di una propria coscienza.
 
Con questa operazione di fatto e’ chiusa anche l’ affezione e ciò che l’ affezione significa perché al suo posto si è insinuata l’assenza di tempo da dedicare a ciò a cui ci affezioniamo, noi stessi inclusi. L’ estetica come attività di stimolo della sensibilità percettiva ha finito la sua millenaria vocazione e funzione di guida dell’umanità. Gli esseri sono persi nella periferia di se stessi, e non sanno cosa fare per percepire e, pur non avendo ancora perso la sensibilità,  non hanno più stimoli di natura estetica per sentire qualcosa. E così, nel loro cieco girovagare cercano qualunque cosa attivi una qualche sensazione, fino a trovare quelle più estreme, del dolore e della morte.